I social non possono essere totalmente democratici: se li usi per insultare, deve esserti inibito il loro utilizzo.

I social sono democratici: ma è davvero giusto sia così?

Sono uno strumento, come tutti gli altri.

E’ normale che una persona non qualificata utilizzi gli strumenti di una sala operatoria?

E allora perché dovrebbe essere normale che chiunque utilizzi i canali social senza conoscerli?

Ogni giorno milioni di persone pubblicano contenuti sui social network e, purtroppo, altrettante pubblicano commenti pieni d’odio sotto a questi contenuti.

E’ l’ambivalenza dello strumento social: da un lato lavora per costruire e accrescere l’autostima di singoli individui, dall’altro cerca in tutti i modi di distruggerla.

Commenti, soprattutto su Instagram, pieni d’odio. Insulti completamente privi di senso, spesso nemmeno connessi al contenuto pubblicato.

E chi sono le prime vittime di questo fenomeno?

I profili, soprattutto di persone più che di aziende, con tanti follower.

Questo è un segnale inequivocabile: l’invidia muove le menti, spesso quelle più grette e prive di cultura, le quali ritengono che queste persone debbano essere in qualche modo abbattute e distrutte.

E spesso quale giustificazione viene messa in campo?

“Potevano fare a meno di postare il contenuto se non volevano essere sottoposti a critiche”

La legittimazione del male: le persone devono stare mute e immobili, altrimenti devono accettare di subire qualsiasi genere di violenza. Chi ragiona così non parla con cognizione di causa, ma solo mettendo in campo la sua profonda ignoranza.

Nel 2004 John Suler ha pubblicato un articolo ancora attualissimo chiamato “The Online Disinhibition Effect” che spiega come questi comportamenti siano di fatto associabili a sei fattori:

  1. Dissociative anonymity – non ci conosciamo davvero.
  2. Invisibility – non mi puoi guardare in faccia.
  3. Asynchronicity – quando leggerai il commento io non sarò più connesso e non avremo un confronto real time.
  4. Solipsistic Introjection – è solo nella mia testa, non accade davvero.
  5. Dissociative Imagination – stiamo giocando.
  6. Minimization of Status and Authority – online non sei nessuno.

Tutte le persone vittime di questi fattori mettono in atto tali atteggiamenti perché alla base c’è una cattiva comprensione e analisi della vera anima dei social network.

Le persone che stanno dietro ai profili sono reali: strumenti come stories e dirette, che ti danno davvero l’impressione di avere un contatto in real time con l’utente, dovrebbero dimostrarlo.

Le azioni e le situazioni che avvengono all’intero dei canali social hanno spesso reazioni reali e concrete: quante volte hai trovato lavoro grazie a Facebook? Parte dal web, ma diventerà il tuo lavoro nella vita vera.

Le persone che incontri al bar, a lavoro o in qualsiasi luogo della vita quotidiana le approcci in modo diverso grazie a tutte le informazioni che conosci grazie a ciò che hai potuto vedere nei loro profili social.

E’ davvero impossibile che tutte le persone che lasciano insulti inutili e profondamente offensivi abbiano capito fino infondo le potenzialità e la struttura dei canali digital.

Su questi temi sta diventando sempre più importante disciplinare le azioni online degli utenti applicando tolleranza zero nei confronti di questi atteggiamenti.

Perché se nel 2020 ancora c’è qualcuno che pensa la comunicazione online sia un gioco e aldilà dello schermo ci sia solo un avatar, si può dire a gran voce che spiegare a queste persone come funziona sia diventato ormai inutile.

I social non possono essere totalmente democratici: se li usi per insultare, deve esserti inibito il loro utilizzo.

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